Otto secoli di Storia… otto secoli di Vino
pars fructuaria |
In principio fu la pars fructuaria. (→)
La parte propriamente produttiva (la prima a nascere) sorse con ogni probabilità agli inizi del II secolo a.C. (è passato un secolo dalla conquista romana del territorio in cui fu edificata la villa, territorio che rientrava nell'ambito della colonia di Castrum Novum), come, d'altra parte, dimostrerebbe il rinvenimento di un frammento d'anfora con marchio di fabbrica a caratteri greci, databile 220-180 a.C. (Museo Civico Archeologico "F. Savini" di Teramo).
Scelto il settore giusto, la giusta coltura (o colture), il pezzo di terra doveva essere lavorato, lavorato e amministrato con efficienza per garantire un buon reddito annuo.
I proprietari terrieri imperiali dedicavano la maggior parte del tempo a supervisionare l'andamento delle tenute. Per far questo, era necessario che vi fosse una dimora in cui soggiornare per diversi giorni, mesi, e che tale dimora fosse il più possibile confortevole, per svolgere al meglio i propri compiti.
Per l'annessione, agli inizi del I secolo d.C. (in età augustea), della parte residenziale, la "dimora del padrone", si rese necessario l'ampliamento dell'intera area edificabile con la costruzione di un imponente muro di terrazzamento. Il muro, ancor oggi lì per ricordarci di quale armonica luce rifulgevamo, chi eravamo e cosa siamo diventati, sorgeva ad Est rispetto alle due parti, abitativa e produttiva. (→)
scorcio del muro di terrazzamento |
La vita della e nella villa proseguì tra alti e bassi (scongiurata nel 270 d.C. l'invasione degli alamanni, sconfitti nella battaglia di Fano, nei pressi del fiume Metauro, dall'imperatore Aureliano e dal suo esercito) per altri tre secoli, vale a dire sino al IV sec., che segnò il declino e l'abbandono della pars urbana.
Nel IV secolo, infatti, l'Italia fu colpita da una crisi agraria, non drammatica, ma certamente significativa, conseguenza della massiccia immissione sul mercato di prodotti agro alimentari provenienti dalle province romane più ricche, come, ad esempio, le province Nordafricane e la Gallia. In particolare il territorio di quest'ultima provincia, con le sue estesissime campagne, rappresentava per l'impero una risorsa importantissima.
Più il territorio rurale è vasto, fertile ed efficacemente lavorato, maggiore sarà la sua capacità produttiva e maggiori saranno le rendite!
La difesa permanente del confine renano dalla pressione costante delle popolazioni barbariche rendeva tutto ciò strategicamente fondamentale, indispensabile per il sostentamento di quei soldati stanziati lungo il limes.
Era inevitabile, quindi, che nel corso del IV secolo l'economia della penisola subisse un relativo declino: man mano che l'economia delle province conquistate s'andava sviluppando, l'iniziale predominio di quei prodotti provenienti dal cuore dell'impero (vino, manifatture per la produzione di ceramica o altri generi di consumo) sui mercati di tutte le province occidentali, veniva inevitabilmente minacciato.
Inoltre, dobbiamo necessariamente tener conto della dispendiosità dei trasporti: siamo nella campagna di Castrum Novum, lontani o relativamente lontani dai centri maggiori (dalle sedi del potere: non tanto da Roma, quanto da Milano, capitale dell’impero d’occidente), e l'editto sui prezzi di Diocleziano ci dice che il prezzo di un carro che trasportava grano, vino o piuttosto olio, raddoppiava ogni 50 miglia percorse. In più, da Diocleziano in poi anche la produzione agricola italiana, esentasse sino alla fine del III secolo, fu soggetta a tassazione.
Dunque, calcolato lo slittamento verso oriente dell'asse del potere imperiale e la crescente attenzione riservata (per via di ragioni storiche piuttosto evidenti, che non sto qui a ripetere) al territorio gallico, non è azzardato affermare che, nel IV secolo, le terre più marginali uscirono (o quasi) dal processo produttivo, fagocitate dagli avvenimenti politico-economici di cui sopra.
testa di leone da cui il mosto defluiva nella vasca di fermentazione (pars fructuaria) |
Torniamo alla "nostra" villa, o meglio, alla sola pars fructuaria, a mio avviso la pars più importante, per vari motivi: per la sua indubbia "longevità", per la sua "resistenza" nei momenti più difficili dell'età tardo imperiale e, infine, perché in essa, nelle sue "vene", scorreva un gran vino... (→)
Ridimensionata di molto e convertita in parte alle esigenze dell'ulivo e dei suoi frutti, la produzione si trascinerà avanti per altri due secoli: visti i tempi, davvero un ottimo risultato!
Otto secoli di Vita... otto secoli di Vino... otto secoli di Storia. Una storia conclusasi con delle invasioni (eruli, ostrogoti, bizantini), e cioè allo stesso modo in cui era cominciata, con l'esercito di Annibale che, superate le Alpi e sbaragliato l'esercito romano nelle battaglie combattute presso il Ticino e la Trebbia (218 a.C.), e nei pressi del lago Trasimeno (217 a.C.), attraversò Umbria e Piceno devastando e depredando; sostò quindi sulle coste adriatiche, prima di marciare in direzione meridionale.
«Annibale – riferisce Polibio nelle sue Storie (Libro III 86, 8-11) – ormai pienamente fiducioso nel successo finale, rinunciò per il momento ad avvicinarsi a Roma, ma si limitò a devastare impunemente il territorio che attraversava, dirigendosi verso l'Adriatico. Percorse la regione degli Umbri e quella dei Picenti, finché il decimo giorno giunse alle terre affacciate sull'Adriatico; uccise un numero enorme di uomini al suo passaggio e raccolse un bottino così ingente che l'esercito non fu in grado di trasportare in alcun modo».
In seguito, scendendo ancor più nello specifico, lo storico greco vissuto nel II secolo a.C. ci dice (Libro V) che Annibale «sostenne l'esercito con i vecchi vini di cui era grandissima copia in quella provincia» e che i cavalli, colpiti da un'improvvisa epidemia, furono «curati con porzioni di vino caldo […] ».
Si riteneva, infatti, che il vino avesse delle proprietà medicamentali.
A tal proposito, una mirabile sintesi è offerta dai versi dello storico latino Varrone (116-27 a.C.), presi in prestito dal suo De lingua latina:
«Novum vetus vinum bibo, novo veteri morbo medeor!»
«Bevo vino nuovo e vecchio e guarisco da nuovi e vecchi malanni!»
Davvero sorprendente, poi, il fatto che, non tanto Varrone, quanto Polibio, che vive nel II secolo a.C., parlando del «vino dei Picenti», introduca termini che segnalano o quantomeno lasciano presupporre la conoscenza (indubbiamente precoce), da parte dei piceni, dei concetti di invecchiamento e di annata, nonché dei procedimenti di cottura del mosto, tradizione, quest’ultima, tutta marchigiana e abruzzese.
Daniele Di Massimantonio
Riferimenti bibliografici
- E. Brizio, Scoperte archeologiche nella provincia di Teramo, Tortoreto, 1896
- A. Carandini, De villa perfecta, in AA. VV., Settefinestre, Una villa schiavistica nell’Etruria romana, La villa nel suo insieme, Modena, 1985
- P. Heather, La caduta dell’impero romano, Milano, 2006
- S. Lapenna, Villa romana. Tortoreto, località Muracche, in Le Valli della Vibrata e del Salinello, Documenti dell'Abruzzo Teramano, IV, 1, a cura di L. Franchi Dell'Orto, Pescara, 1996
- Plinio, Storia Naturale, Vol. III, Torino, 1984
- Polibio, Storie, Voll. III, V, Roma, 1998
- Varrone, De lingua latina, Vol. VI, Bologna, 1978